Passioni e desideri - Recensione
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18/06/2013 da
Elena Pedoto In viaggio d'affari a Vienna un uomo (
Jude Law) sta per tradire - con una top escort ‘debuttante' - la sua bella moglie (
Rachel Weisz), la quale nel frattempo viene sedotta a Parigi da un prestante fotografo brasiliano (
Rui) che a sua volta sta per essere lasciato dalla ragazza
Laura. E intanto la stessa
Laura, lungo il viaggio di ritorno a casa verso il Brasile, stringerà amicizia con un anziano padre (
Anthony Hopkins) in cerca della figlia, e correrà seri rischi flirtando apertamente con un pericoloso galeotto. Un carosello di personaggi che ruota attorno all'attrattiva sessuale e all'instabilità emotiva dei rapporti al fine di restituire il quadro fondamentalmente anarchico delle relazioni umane.
Cosa ci fanno una valigetta piena di soldi, una società che recluta escort di prima classe e una girandola di personaggi incastrati tra la voglia di amare, tradire, trasgredire o restare fedeli alla propria religione? Adattando per il grande schermo il celebre
Girotondo (opera teatrale del 1900) del drammaturgo austriaco
Arthur Schnitzler, il regista
Fernando Meirelles (
City of God,
The Constant Gardner) tenta di tradurre e riportare l'arbitrarietà e l'intrecciarsi tipico delle relazioni a un contesto e a un tempo facenti capo all'epoca moderna. Attraverso le otto location e le altrettante coppie che ivi si avvicendano,
Passioni e Desideri (
360 è il titolo originale) vorrebbe dunque mostrare l'apparente incidentalità degli incontri che determinano (per un attimo o anche di più) il corso amoroso/affettivo delle nostre vite. Sarà l'aforisma del saggio e di un bivio da prendere a fungere poi da cornice alla lunga concatenazione di eventi e persone che attraversano i 110 minuti dell'opera. Ma non siamo dalle parti di
Babel, né tantomeno dalle parti di
Crash, dove l'incastro dei numerosi tasselli narrativi ed esistenziali dava origine a un turbinio di vite dai detti e (soprattutto) ‘non detti' estremamente interessanti. Qui tutto scorre languido, e i vari attimi in cui il regista si sofferma su ciascun episodio non bastano a creare nemmeno un barlume di quell'empatia necessaria ai fini di un coinvolgimento emotivo con la storia. Nonostante l'ottimo cast a disposizione (che annovera tra gli altri nomi di indubbio rilievo come
Anthony Hopkins,
Jude Law e
Rachel Weisz) e il potenziale di una parabola sulla fatalità della vita che ben si prestava a un interessante lavoro d'introspezione,
Meirelles non riesce infine a sottrarsi al giogo della banalità e del cliché. A non sostenerlo nella costruzione di un iter filmico di rilievo concorrono poi dialoghi affettati e poco realistici che anziché infilare la via dell'autenticità percorrono senza alcun guizzo quella della superficialità di parole che riecheggiano vuote come matrioske di un linguaggio senza spessore ("
si vive una volta sola"). A lungo andare il film di
Meirelles tende a estraniarsi dallo spettatore e infine anche da sé stesso, generando un senso di noia inusuale per un'opera che dovrebbe invece nutrirsi dell'intreccio e della suspense. Di pari passo, la prevedibilità dei personaggi e dei destini a essi sottesi tendono poco alla volta a primeggiare sul resto. Davvero un peccato dover constatare come questo film su carta vincente risulti invece un'opera scialba, priva di contenuti e soprattutto di attrattiva. Il carosello formale e sostanziale immaginato da
Schnitzler si perde infatti nell'accelerazione narrativa che
Meirelles compie sulle sue storie, fotografie sbiadite di una vita che corre via frenetica senza mai provare a raccontare realmente qualcosa di sé stessa.
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